lunedì 29 febbraio 2016

Ennio Morricone e Leonardo Di Caprio: buona la sesta

Felicissima, entusiasta, orgogliosa. Quest'ultima Notte degli Oscar, che mi sono finalmente gustata dall'inizio alla fine in diretta streaming anche grazie alla precedente visione sul grande schermo dei film qui citati, ha tributato l'attore Leonardo di Caprio, che avevo trovato bravo da far impressione in "Il grande Gatsby" e in "Django Unchained", per "Revenant - redivivo" ma soprattutto ha dato una statuetta "sul campo" al compositore romano Ennio Morricone per la colonna sonora dell'ultimo film dell'amato Quentin Tarantino, "The Hateful Eight". Per entrambi la sesta nomination, ma anche tante, troppe voci che li davano per "veri" favoriti.

La mia gioia va soprattutto al Maestro italiano (anche se lo stesso Di Caprio, come altri artisti in gara, ha lontane origini tricolori), 86enne lucido e geniale, modesto e laborioso, che mi ha letteralmente trasportata e ipnotizzata col brano iniziale di "The Hateful Eight", con quelle lunghe inquadrature sul paesaggio innevato e sulla statua di Cristo a fare da cassa di risonanza a quelle note toccanti, più da film giallo o d'inchiesta che da western.

Tarantino, #santosubito, gli aveva fatto una corte lunga due anni per convincerlo a lavorare di nuovo con lui dopo "Django Unchained" e ai Golden Globe a gennaio fu lui a ritirarne il premio, lodandolo e definendolo come un Mozart ed un Beethoven dei nostri giorni.

Come mezzo mondo ormai saprà, per Morricone questa è la seconda statuetta dopo quella alla carriera nove anni fa: una rivincita oltre che vittoria, perché riconosce la sua superiorità rispetto agli altri candidati, non in generale per le sue opere passate che però ai tempi erano state snobbate - vedasi quella per "Mission".

Meno amara la situazione per Leonardo: tante volte snobbato pur con interpretazioni meritevoli, ma perlomeno battuto da degni colleghi e da degni lavori, ovvero Tommy Lee Jones per "Il fuggitivo", Matthew McConaughey per "Dallas Buyers Club"e anche Jamie Foxx per "Ray" e Forest Whitaker per "L'ultimo re di Scozia", questi ultimi due colored, tanto per riecheggiare il tremendo canovaccio su cui un pedante Chris Rock ha blaterato in lungo e in largo, in maniera un po' stucchevole, delle mancate nomination a vantaggio di afroamericani. Ma tornando a Di Caprio, se recitare per quasi tutto un film da solo sia in inglese sia in lingua pawnee con i disagi del freddo, della neve e di un set fra Canada e Argentina a buscarle da un orso, a uscire da una fossa e strisciare sulla neve con una gamba fratturata, a piangere un figlio morto ammazzato, a doversi cauterizzare una ferita sul collo, a mettere le mani ed il proprio corpo dentro animali di grossa taglia per nutrirsi e riscaldarsi, a darsi a fughe, cavalcate e infine combattimenti corpo a corpo non sarebbe bastato per sentirsi tributare come il migliore attore dell'ultima annata, allora davvero avrei gridato al complotto.

Nessun commento:

Posta un commento